In quell'angolo d'Italia definito Sud, io azzardo un Primo Sud, parlano lingue simili ma opportunamente diverse, ben distinte. Tengono tutti alla loro originalità, la difendono strenuamente. Altri parlano, lui racconta in breve con l'intento, lodevole, di affabulare. Coinvolge la vita sua e di altri, nel senso di biografie romanzate che talvolta sono così esplicite da non apparire tali. Entra prepotente il vero, la realtà. Cita sempre esseri che gli sono particolarmente cari: Luis Sepulveda è solo un esempio, poi c'è Raul, uno che si fa capire ma non parla, nelle storie che accompagnano, per la quasi totalità, vicende di pallone. Il calcio è sempre presente, talvolta come pretesto, nei racconti di Pietro Gianfrancesco perché rappresenta un amore mai finito, coltivato in tutte le stagioni della vita senza chiedere molto in cambio: soddisfazioni ma non allori. Le sue storie ci fanno compagnia per un tempo forzatamente limitato. Ne ha messe insieme undici, come una squadra di calcio, ciascuna eli esse profuma di pane appena sfornato, quello che in famiglia conoscono da sempre. Chi fa il pane sa di pane. E di onestà, aggiungo io. (dalla prefazione di Sergio Meda).