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Mai avuto una famiglia

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Titolo: <strong>Mai avuto una famiglia</strong></br></br>
Autore: <strong>Bill Clegg</strong></br></br>
Editore: <strong>Bompiani</strong></br></br>
Pagine: <strong></strong></br></br>
Anno edizione: <strong>2016</strong></br></br>
EAN: <strong>9788845281495</strong></br></br>

<p><br><b>Una casa. Una famiglia. Tutto ciò che June Reid ha di più caro le viene strappato da uno spaventoso incidente a cui lei sola sopravvive. </b><br><br> <i>"E può anche darsi che tu non sappia mai la parte che hai fatto, che cosa ha voluto dire per qualcuno vederti lì che ti sforzi di andare avanti giorno dopo giorno"</i><br><br> Una casa. Una famiglia. Tutto ciò che June Reid ha di più caro le viene strappato da uno spaventoso incidente a cui lei sola sopravvive. Ed ecco che le decorazioni di fiori pronte per la festa di nozze della figlia diventano corone, l'aspettativa per il nuovo inizio si fa lutto, il futuro si trasforma in un passato prossimo ingombrante e doloroso. June volta le spalle a tutto questo e fugge. Si fermerà solo sulla riva dell'oceano, alla fine di un viaggio alla cieca che la conduce nel luogo in cui una giovane coppia si è promessa felicità e un'altra coppia la felicità se l'è presa e la coltiva nella vita di ogni giorno. Proprio come quella di June, tutte le voci che animano questo romanzo parlano di verità da disseppellire e perdite o assenze con cui convivere. È una storia costruita alla rovescia: l'epilogo ci è chiaro fin dalle prime pagine, e poi andiamo a ritroso nel tempo, seguendo i fili di ciascun racconto, per arrivare ai nodi, all'essenza complicata di tutte le famiglie del mondo.</p>
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Non è che Clegg inventi nulla di nuovo, non è un romanzo che stravolge le regole della letteratura, eppure ha prodotto un libro necessario. Necessario per l’umanità del dolore e nel dolore. Spettacolare poi il “montaggio” stesso della storia. Un libro che il dolore lo racconta. E questo (talvolta) è necessario.

La casa di June va a fuoco sotto i suoi occhi, il giorno prima del matrimonio di sua figlia, con dentro tutta la sua vita, coloro che ama. Comincia con la fine, il primo romanzo di Bill Clegg, già celebre per il suo memoir “Ritratto di un tossico da giovane” l’autore ci sorprende e commuove con una prova straordinaria, per sensibilità e originalità. Raro, se non unico, il pregio di saper presentare la faccia tragica dell’esistere con una prosa lirica e quasi romantica, mitigando il peggiore dei mali con un disincanto che da disperato si fa via via più dignitoso, fin quasi ad abbracciare un perdono, per se stessi e per gli altri, razionalmente impensabile, ma addirittura necessario negli umani travagli affettivi. Il tema del perdono si fa primario, e partendo dalla pietosa visione di un’umanità fallace e malinconicamente precaria e annaspante, la colpa è sminuita fino a evaporare, come la marachella del bambino che, irresponsabile per il suo inesperto agire nel mondo, può meritarsi solo un rimprovero indulgente ma mai il marchio della colpa… I personaggi raccontano la tragedia dai loro diversi punti di vista, ma il dolore è così immane, sia per vittima che carnefice, che fuoriposto è la censura, rimane lo smarrimento del rammarico, della nostalgia e della compassione per se stessi e per gli altri.

Se devo giudicare Bill Clegg da questo romanzo (unica sua opera letta) posso concludere così: non è un gran che come scrittore, però è certamente un bel furbacchione. E infatti ha messo su pagina una scrittura carina, pulitina, né troppo “alta