Non sono un buffone. Forse un clown con gli occhi tristi che tanto piacciono se ti guardano da un quadro. Non fanno per nessuno. Un clown non deve essere triste, deve ridere, far ridere, far piangere. E scomparire. Le lacrime, mute, giù in giardino, fra le bestie, nel chiostro di quei frati lì, a due passi dal circo. E vivere. D'obbligo. In silenzio. Grande. I tuoi schiamazzi, tanto, non li sente nessuno. Solo un cane s'avvede del tuo destino. Il tuo. Il tuo circo non può fallire. Ne moriresti. Ne morirai. Ma godi anche tu l'effimera gioventù che non hai più, e se morirai, pazienza: fors'anche allora qualcuno riderà. Stan si sentiva come una barca in balìa delle onde. Fluttuanti, morbide ed imprevedibili in un oceano di notte. Uno di quei momenti in cui scivolano le immagini e bagnano la mente i ricordi, e, cullato da quel quieto e costante rollìo, lo sguardo fisso al cielo, nelle orecchie lo sciacquìo dei pensieri, ti par quasi una sensazione di vertigine.