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L' estate infinita. Ediz. speciale

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Titolo: <strong>L' estate infinita. Ediz. speciale</strong></br></br>
Autore: <strong>Edoardo Nesi</strong></br></br>
Editore: <strong>Bompiani</strong></br></br>
Pagine: <strong></strong></br></br>
Anno edizione: <strong>2016</strong></br></br>
EAN: <strong>9788845282621</strong></br></br>

<p>Italia. Estate del 1972. Ivo il Barrocciai convince il padre Ardengo a finanziargli l'acquisto di un terreno per costruire una fabbrica di tessuti da "far invidia ai milanesi". Cesare Vezzosi, piccolo impresario edile, sposato con la bellissima Arianna che lascia lunghi mesi al mare a badare al figlio Vittorio, costruisce di lena appartamenti popolari per ospitare l'ondata di intrepida immigrazione che viene dal Sud. Pasquale Citarella è venuto dall'Irpinia a cercare fortuna, con moglie e figli, e pittura senza sosta le case e i capannoni e i palazzi che sembrano spuntare ovunque. Siamo all'alba di un nuovo mondo e l'albero della vita sta intrecciando i destini: l'audace Barrocciai incarica il Vezzosi di costruire la faraonica fabbrica mentre lui si getta, con l'entusiasmo di un fanciullo, alla conquista del mercato tessile d'Europa e d'America. Il Vezzosi, a sua volta, incarica Citarella della costruzione: una commissione che può valere il futuro suo, della sua famiglia, e anche di qualche parente rimasto ad Ariano Irpino. E mentre la fabbrica si va edificando, gloriosa ed eccessiva come il sogno che l'ha voluta creare, mentre quei tessuti iniziano a generare denaro e spargere benessere condiviso, mentre gli anni vengono divorati dalla voglia di futuro, le vite private dei protagonisti iniziano a scricchiolare, a scomporsi e ricomporsi, travolte dall'impeto di una vita che è benzina per i sogni e di una crescita continua e rapidissima, onnipresente, naturale quanto l'aria e il cielo.</p>
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Nesi ormai sta raschiando il fondo del barile dei suoi (pochi) argomenti. Ne ha cavato un buon romanzo ( “L’età dell’oro” ) e molte altre appendici poco o per nulla riuscite ( “Rebecca” e “Storia della mia gente” per citarne due ). Qua siamo di nuovo di fronte all’industriale di provincia che crea la sua fortuna sul nero e l’evasione fiscale ( questo accadeva, altro che discorsi) e appare pure come un munifico datore di lavoro per i suoi dipendenti. Basta: mi chiedo se Nesi sia capace di scrivere d’altro,ma ne dubito fortemente ormai. L’autocompiacimento nella scrittura, la sbruffonaggine di cui grondano le pagine non sono più compensate dal contenuto, che è un reiterarsi della stessa zuppa, quà o là allungata o speziata per variare, ma sensa successo. Un (immeritato) premio Strega glielo hanno già appioppato, baci per terra davanti ai giurati di quella edizione e si dedichi ad altro che non sia scrivere romanzi.

Un romanzo il cui giudizio, a essere generosi, si può sintetizzare con il termine “mediocre”. Scrittura sciatta. Personaggi stereotipati. Vicende di desolante prevedibilità. Il tutto in un odore di falsità che lo pervade dalla prima all’ultima pagina. E’ un libro scritto con un intento a metà fra il pedagogico e l’ideologico. Ovvero magnificare come era bella l’Italia dei mille padroncini, che non pagavano le tasse, che non avevano altri orizzonte che gli schei, manifestandosi offesi con chi ne rivela l’angustia di senso. E anche di futuro, visto l’effimero successo di un simile modello che la storia non ha mancato di sancire. Per far digerire il tutto, Nesi costruisce sostanzialmente un falso storico: ovvero il paternalismo prodigale del datore di lavoro, il Barrocciai, nei confronti di chi lavora con lui e per lui, da chi gli deve costruire il nuovo capannone fino agli operai. Che paga e strapaga, di cui si preoccupa come un parente fervido e affettuoso. Peccato che sia una storia mai vista, nel mondo reale. Nel quale straordinari gratis, contributi mai versati, ricatti e vessazioni di ogni tipo costituirono la vera essenza di quel tipo di economia. Spiace giudicare un romanzo su base ideologica, ma dato lo scoperto intento dell’autore, è sul quel terreno che vanno poste le critiche di fondo. Quanto alla forma, al linguaggio, alla costruzione, regna sovrana la piattezza e la prevedibilità. Per i personaggi, siamo dalle parti di quelli dei cinepanettoni di qualche anno fa, i cumenda (in salsa toscana) di “Alboreto is nothing”. La difesa materialistica dell’abbigliamento di lusso quale valore in sé, come assoluto, poi, è una vetta di autogiustificazione che rasenta il patetico. Pessimo.

Se tagliassimo le scene erotiche che secondo me non aggiungono niente all’idea, stupenda, di farci sentire proprio dentro la società italiana del periodo migliore della sua storia (anni ‘60-‘80: lavoro per tutti, soldi, speranze), anzi, un po’ la sporcano, sarebbe proprio un gran romanzo, epico, un po’ come il film “La meglio gioventù”. In ogni caso, il libro mi è piaciuto da morire e va letto proprio in un periodo come quello che l’Italia sta attraversando. Ma sono sicura che tornerete grandi, ragazzi (io non sono italiana ma vi adoro da morire), proprio come descritto nel romanzo. Non disperatevi, il futuro è vostro!

Mi è sembrato un intreccio di storie piuttosto complicato che devo dire non mi ha lasciato gran che… Ammetto però che è scritto molto bene!