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Il silenzio dell'infinito. Un frammento di Pascal

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Titolo: <strong>Il silenzio dell'infinito. Un frammento di Pascal</strong></br></br>
Autore: <strong>Bruno Nacci</strong></br></br>
Editore: <strong>La Scuola di Pitagora</strong></br></br>
Pagine: <strong></strong></br></br>
Anno edizione: <strong>2015</strong></br></br>
EAN: <strong>9788865423868</strong></br></br>

<p>I frammenti di Pascal non sono solo "massime" come quelle di La Rochefoucauld o di La Bruyère, ma vanno letti all'interno di un discorso articolato sull'uomo e sulla religione che il grande scienziato francese andava componendo quando la morte lo colse, impedendogli di completare il progetto di una nuova apologia del cristianesimo. Ciò nonostante, in molti casi possiamo accostarci ad essi sia come cime di un continente sommerso per sempre, per ricostruirne la frastagliata geografia, sia come espressione compiuta di intuizioni, una sorta di Illuminations come quelle che due secoli più tardi Rimbaud, altro genio precoce, elaborerà nel tentativo di tradurre la realtà in poesia. Il frammento 187 (Michel Le Guern) qui commentato, uno dei più famosi, esprime lo sgomento al cospetto di un universo infinito e indecifrabile, evocando nella sua tragica brevità temi e paradossi della scienza e interpretando al tempo stesso la crisi della modernità.</p>
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“Le silence éternel de ces espaces infinis m’effraie”: del frammento n. 187 dei “Pensieri” di Blaise Pascal (compreso nel corpus canonico pascaliano solo nel 1844) si occupano queste documentatissime 37 pagine del francesista Bruno Nacci. Il frammento, che si esprime in una forma letteraria caratterizzata dal ritmo anapestico, quindi con una sua forte e struggente valenza poetica, ha sempre affascinato lettori e studiosi di tutte le epoche e latitudini, proprio per la sua drammatica e angosciosa visione di un universo muto, eterno e infinito, in cui l’uomo può solo riconoscersi nella sua fragile inessenzialità, e nella sua totale solitudine. Il Professor Nacci inserisce questa fascinazione pascaliana per l’immenso all’interno della riflessione logico-matematica del filosofo francese per l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, con la dichiarata intenzione di abbassare l’orgoglio umano (“domare la sua presunzione”), usando tali temi con fini apologetici, nel tentativo di convertire il non credente. Davanti alla grandiosità del cosmo e alla piccolezza umana, Pascal si perde, esattamente come il “naufrago” Leopardi, e prima di lui i cosmologi greci, Giordano Bruno, Cartesio, Montaigne. “Dio parla nell’universo una lingua raccapricciante, quella inarticolata che getta l’uomo nel terrore mostrandogli la sua insensata marginalità” ciò che spaventa “non è l’infinitezza dell’universo in quanto tale e la sua insondabilità, ma il fatto che questa inesauribile profondità manchi di parola (e di senso), in un capovolgimento straordinario dell’assunto ottimista di Galileo”. L’uomo inadeguato a giustificare la sua presenza nel mondo, si sente inghiottito “come un punto”: Nacci naviga con assoluta competenza all’interno di tutto il corpus dei Pensieri, sempre cercando analogie tra il frammento esaminato e gli altri. Quello che lo precede, il 186, notissimo, infatti recita: “L’uomo non è che un fuscello, il più debole della natura, ma è un fuscello che pensa”.